Quando gli incentivi aziendali creano un valore diffuso, incentivando le spese all’interno dei Comuni per il sostegno dei servizi essenziali e del commercio di vicinato.
Dalle imprese ai dipendenti, e dai dipendenti al territorio. È il circolo virtuoso del welfare aziendale territoriale, la nuova frontiera nel panorama del benessere condiviso che trasforma una delle misure emergenti nel mercato del lavoro in uno strumento di sviluppo anche per le comunità locali.
Viene definito anche come “welfare a filiera corta” e trova la sua ragion d’essere nella capacità di incoraggiare le aziende a orientare i propri investimenti in chiave welfare in modo molto aperto al contesto territoriale in cui sono inserite.
L’obiettivo è “attivare filiere di produzione di valore capaci di mettere a sistema le risorse locali e innescare circoli virtuosi di sviluppo sociale ed economico in una prospettiva sostenibile e inclusiva”, come ricorda il Quinto rapporto a cura del Laboratorio Percorsi di secondo welfare.
Welfare aziendale territoriale, cos’è e come funziona
Descritta in linea generale la filosofia che sta dietro un modello di welfare di questo tipo, proviamo a entrare più nello specifico. In buona sostanza, l’idea è di incoraggiare le aziende a dotarsi di un piano di welfare aziendale (e quindi a investire in incentivi per il benessere extra lavorativo dei dipendenti) mettendo nello stesso tempo i loro dipendenti nelle condizioni di spendere il proprio credito welfare… a chilometro zero.
L’esempio classico è con i servizi essenziali, come la retta dell’asilo per i bambini o l’assistenza alle persone con disabilità. Ma ampliando le proprie prospettive si possono integrare anche attività di formazione, servizi di mobilità e trasporto, ingressi a musei e luoghi d’interesse.
Con una specificità in più. Il welfare aziendale territoriale può infatti diventare anche moneta da spendere tra le attività commerciali di vicinato, in modo da sostenere il commercio locale e mantenere nel territorio tutto il valore economico che qui viene prodotto con il lavoro di ogni giorno.
Welfare aziendale territoriale: un vantaggio davvero per tutti
Come si può intuire facilmente, il welfare aziendale territoriale rappresenta davvero un vantaggio per tutti.
Per le imprese
Oltre a beneficiare dei vantaggi classici di un piano welfare (miglioramento del clima aziendale, leva contrattuale per nuove assunzioni, maggiore fidelizzazione dei dipendenti, aumento della produttività) sostenere il proprio contesto territoriale permette di fare squadra con la propria amministrazione comunale, potenziando enormemente la reputazione aziendale. Se poi è già stato attivato un piano welfare, si tratta soltanto di dare un indirizzo territoriale agli investimenti messi in campo, senza ulteriori aumenti di spesa.
Per i dipendenti
I dipendenti traggono vantaggio da una gamma di servizi più ampia e più accessibile, che risponde meglio alle loro esigenze personali e familiari. Questo include non solo benefici economici, ma anche supporto sociale e assistenza personalizzata.
Per i Comuni e i commercianti locali
Le amministrazioni locali possono contare su un supporto diretto da parte delle aziende per lo sviluppo dei propri progetti d’interesse sociale e culturale, con la possibilità di aumentare e migliorare sensibilmente i servizi disponibili. Includendo inoltre i commercianti di vicinato tra i possibili destinatari del credito welfare messo a disposizione dei dipendenti, si favorisce l’attività economica diffusa incoraggiando gli acquisti nei piccoli negozi, a dispetto delle grosse catene di e-commerce.
Come trasformarlo in un successo
Quella del welfare aziendale territoriale è una frontiera tutta nuova, che però sta cominciando a raccogliere le prime testimonianze di successo. Una di queste è il caso del Comune di Cortemilia in provincia di Cuneo, che è riuscito a sostenere l’asilo comunale proprio grazie alla sinergia con la maggiore azienda locale.
A nostro avviso ci sono però diversi fattori in gioco che devono incastrarsi perfettamente per permettere a questa opportunità di arrivare davvero a risultati concreti.
Prima di tutto c’è bisogno di coinvolgere maggiormente le aziende, aumentando il numero di quelle che investono in piani welfare e incentivandole a dare questa connotazione al proprio investimento, che va decisamente oltre i canonici “buoni pasto”.
Poi serve una normativa di prospettiva, non solo vincolata al rinnovo di anno in anno delle soglie per i fringe benefit, ma soprattutto orientata a promuovere in modo strutturale la coesione sociale e il benessere attraverso la collaborazione tra imprese, comuni e cittadini.
Infine bisogna allargare la rete delle attività commerciali coinvolte. E da questo punto di vista le piattaforme digitali stanno già facendo tantissimo. App come GoWelfare del gruppo Unipol, per esempio, permette già di creare buoni acquistabili con i fringe benefit e spendibili nei servizi di prossimità. E così il contributo che l’azienda consegna al proprio dipendente può diventare entrata economica per l’edicola o la macelleria, ma anche per il fioraio, il parrucchiere, l’idraulico o il ferramenta.
Chiudiamo con un numero emblematico: nel 2023 quasi 12 milioni di euro di welfare sono stati investiti attraverso Amazon. Possibile che non riusciamo a fare rete per intercettarne almeno una parte e a trattenerli per fare del bene al nostro sistema economico?